Some statues are not statues. They’re people stuck in time.
They seem to look at you, think and want to talk to you.
Usually I photograph them for what they should be: cultural goods to be documented. But sometimes not. With some of them, “a relationship is established” that goes further and starts a dialogue.
“Have you ever really dreamed? Have you ever really looked, wanted this? What do I see is what you were?”
You start asking questions that they somehow answer. It is thanks to this imaginary conversation, this exchange of silent emotions, that the way I look at them through the camera changes. The resulting image is different from the usual and enriches a personal project: My days have been a dream.
A project that sees me in search, within the material, of what is left of the thoughts and emotions likely felt by those who posed for that statue.
Alcune statue non sono statue. Sono persone bloccate nel tempo.
Che sembra ti guardino, pensino e vogliano parlare con te.
Di solito le fotografo per quello che dovrebbero essere: beni culturali da documentare. Ma a volte no. Con alcune di esse si “instaura un rapporto” che va oltre e che fa iniziare un dialogo.
Hai mai davvero sognato? Hai mai davvero cercato, voluto questo? Quel che vedo è quel che eri?
Ci si inizia a porre domande a cui loro, in qualche modo, rispondono.
È grazie a questo immaginario colloquio, a questo scambio di silenziose emozioni, che cambia il mio modo di guardarle attraverso la fotocamera. L’immagine che ne consegue è diversa dal solito e va ad arricchire un progetto personale, My days have been a dream.
Un progetto che mi vede alla ricerca, all’interno della materia, di ciò che è rimasto dei pensieri e delle emozioni verosimilmente provate da chi posava per quella statua.